Causa sovraccarico di lavoro dei corrieri gli ordini potranno partire solo dopo il 28 di dicembre, per cui le consegne avverranno molto probabilmente nel mese di gennaio.
Monthly Archives: dicembre 2020
Quest’anno abbiamo pensato di anticipare la veglia di Natale per dare la possibilità a chi volesse di partecipare.
Giovedì 24 Veglia di Natale ore 19:30 fino alle 21:30
Venerdì 25 Natale del Signore
7:45 Lodi
10:30 Eucaristia
18:00 Vespri
Sabato 26 Santo Stefano
6:30 Lodi
10:30 Eucaristia
18:00 Vespri
Domenica 27 Santa Famiglia
7:30 Lodi
10:30 Eucaristia
18:00 Vespri
Lunedì 28 Santi innocenti
6:30 Lodi
8:45 Eucaristia
18:00 Vespri
RB 4,69 – Fuggire la superbia.
Il testo latino usa il termine elatio che richiama l’immagine di elevazione, esaltazione, nobiltà, superiorità, e in senso negativo arroganza, orgoglio, superbia, altezzosità. Quando una persona si ritiene superiore, di fatto inizia a trattare gli altri come inferiori, cioè sottolinea tutto ciò che li può abbassare, e alla fin fine umiliare. Ciò che è da fuggire è quell’atteggiamento che usa le proprie doti e capacità, come strumenti per umiliare e abbassare l’altro.
Certamente non abbiamo tutti le stesse capacità, ma questo non deve diventare motivo di “superbia”. In nessun campo o settore. La vera grandezza di una persona sta invece nel saper innalzare l’altro con le proprie capacità. Un campo dove questo forse ci è più chiaro è quello dell’insegnamento. I professori più significativi sono quelli che riescono a rendere le cose più difficili semplici e comprensibili, aiutando i loro alunni a capirle e farle proprie. Non è una questione di semplice conoscenza, ma di assimilazione a assunzione al punto da poter rielaborare ed esemplificare il proprio sapere. Atteggiamento diverso da chi lo sbatte in faccia sottolineando la difficoltà dell’altro a capire, quasi trovando in questo una sorta di godimento perché sottolinea la sua superiorità.
Non si tratta quindi di nascondere le proprie capacità, le proprie conoscenze, ecc., ma di usarle in modo corretto, cioè non per abbassare e separare, ma per innalzare e far crescere. Sono doni che ci sono affidati per aiutare l’altro ponendoci accanto e non sopra o davanti.
Se nella nostra vita abbiamo incontrate persone che vivevano in questo modo le loro capacità, sicuramente ci sono rimaste nel cuore con grande affetto, al di là del loro ruolo. Le abbiamo subito percepite come significative ed esempi da imitare. E’ certamente però più impegnativo vivere in questo modo.
RB 4,68 – Non avere spirito di contestazione
Non significa che bisogna omologarsi alla maggioranza, ma che la contestazione non è la via che porta frutto nelle situazioni di divergenza. La differenza può diventare una ricchezza se vissuta in modo corretto. Se diventa contrapposizione è un impoverimento. Occorre riuscire a mantenere aperto un dialogo e un confronto, perché le diverse posizioni possano integrarsi. Da parte di tutti occorre la capacità di ascoltare e dare spazio all’altro.
Lo spirito di contestazione sbatte in faccia all’altro la mia posizione senza la disponibilità di un confronto reale e di una spiegazione delle posizioni. E’ un dialogo tra sordi che tende a degenerare sempre più. Non c’è l’intenzione di capire la posizione dell’altro, il perché della sua posizione. Il che significa che si presuppone che l’altro ha comunque torto e solo io ho ragione.
Il termine “contesa” ricorre più volte nella Regola, perché nella vita comune è normale che ci siano divergenze. Non si deve però mai scadere e scivolare nella contesa. Né nei confronti dell’autorità (cfr. RB 3,9), né dei fratelli. Il perdono scambiato è il percorso per risanare i contrasti e va ricercato ogni giorno. Nel capitolo 13 Benedetto invita a recitare il Padre nostro proprio con questa attenzione alle relazioni, perché “solitamente sorgono in seno alla comunità” “spine di contese”. Non bisogna spaventarsi, ma non bisogna neppure arrendersi e rassegnarsi. E’ il cammino di conversione che ci impegnerà tutta la vita.
Il perdono può nascere solo in un contesto di preghiera perché ci aiuta a porci davanti a Dio. Non metto cioè più al primo posto me stesso e il mio presunto onore, ma il bene della relazione. Sono disposto a riconoscere come anche nell’altro ci può essere una parola di verità, qualcosa di positivo che arricchisce anche me. Quell’atteggiamento illustrato nel capitolo 3 sui fratelli chiamati a consiglio deve essere vissuto sempre.