Prologo 39-41 – Avendo chiesto al Signore chi potrà abitare nella sua tenda, noi, fratelli, abbiamo appreso da lui la norma per esservi accolti: occorre cioè adempiere i doveri propri di chi vi abita. Prepariamo, dunque, i nostri corpo e i nostri cuori a prestare servizio sotto la santa obbedienza dei divini comandamenti. E se la nostra natura davanti a qualcosa si sente impotente, supplichiamo il Signore che ce ne renda capaci dandoci l’aiuto della sua grazia.
La via della vita, così come ci viene presentata da Benedetto, ha una dimensione esigente di conversione descritta con i termini di “doveri propri di chi vi abita”, “prestare servizio sotto la santa obbedienza ai divini comandamenti”. Essa coinvolge tutte le dimensioni della nostra vita: “prepariamo i nostri corpi e i nostri cuori”. Non si tratta solo di una questione formale di atteggiamento, di stile di vita, ma di una conversione interiore, di un cambiamento del cuore.
Scegliere di abitare nella tenda del Signore significa scegliere di dimorare con Lui mettendosi in gioco e di accogliere la sua sfida di un peso leggero e di un giogo dolce, ma che appariranno così solo dopo averli presi su di sé. E’ l’esigenza del Vangelo, che ci chiede di andare oltre a una giustizia formale e di aprire il cuore alla misericordia. Questo cammino ci chiede, come al giovane ricco, di lasciare cose e atteggiamenti che per noi sono preziosi, che per noi sono fonte di appagamento. Tutto questo per seguirlo. La dimensione del lasciare, del rinunciare, ha per fine il Vangelo e la dimensione della vita comune, e si concretizza nelle indicazioni della Regola sulla disappropriazione, sull’obbedienza, sulla conversione all’altro che ha il volto fastidioso dell’infermo morale e fisico, del forestiero.
In questo cammino faremo certamente l’esperienza a un certo punto di sentirci impotenti davanti a qualche passaggio, di non sentirci all’altezza o di sentirci schiacciati da quell’esigenza. E’ il tempo in cui siamo chiamati a spogliarci del nostro autocontrollo, del nostro successo spirituale, per abbracciare l’umiliante esperienza della povertà e del fallimento. Qui allora potrà agire la grazia che ci svuota per renderci più liberi da noi stessi, dai nostri ideali spirituali, dai nostri idoli. Ma questo avviene solo nel sangue e nelle lacrime dell’impotenza sperimentata nella propria carne e nel proprio cuore. Una discesa agli inferi, un morire a se stessi, per essere risuscitati come uomini nuovi e liberi.
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