RB 1,13 – Non curandoci più di loro veniamo dunque a organizzare – con l’aiuto del Signore – la fortissima stirpe dei cenobiti.
Ci si può chiedere quale sia lo scopo di questo primo capitolo della Regola che presenta una sorta di catalogo dei diversi generi di monaci, evidenziandone due positivi e due negativi. Non ha certamente un carattere esaustivo, ma vuole dirci che nessuna scelta vocazionale è di per sé migliore o sicura. Nessuna ci mette al riparo da rischi che derivano fondamentalmente da un’autoreferenzialità, per cui chiamiamo volontà di Dio le nostre inclinazioni. Ricercare e compiere la volontà di Dio non è mai scontato, nè facile. Non basta infatti scegliere un genere di vita, ma occorre ogni giorno chiedersi come viverlo, non basta aver scelto di essere monaco, ma occorre capire come esserlo giorno per giorno.
Neanche la vita cenobitica mette al riparo da rischi, ma ha il vantaggio del sostegno e dell’aiuto della comunità. Non sono da solo nel cammino di ricerca della volontà di Dio e posso essere aiutato dai fratelli a verificare la coerenza delle mie scelte e del mio ascolto. L’appartenenza a un corpo può essere un sostegno anche nei momenti di difficoltà e di smarrimento. Nell’altro posso riconoscere i miei limiti e vederne le derive.
L’esperienza personale di Benedetto, che lo ha visto iniziare come eremita, forse gli ha mostrato i rischi di un cammino di discernimento solitario e gli ha fatto apprezzare il sostegno dei fratelli. In tutta la Regola (cfr. in particola il cap. 73: Questa regola non contiene tutte le norme di giustizia) emerge l’umiltà di quest’uomo che riconosce come la sua è una possibile via per vivere il vangelo, senza nessuna pretesa di essere il migliore. La forza di questa stirpe sta nel porsi alla scuola del servizio divino, cioè in un atteggiamento umile di ascolto e discepolato. Non ha in tasca le risposte, ma le cerca con perseveranza.
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