RB 2,1-3 – L’abate veramente degno di essere a capo di un monastero deve sempre ricordarsi di come lo si chiama e conformare al nome di superiore tutto il suo agire. Per fede sappiamo, infatti, che nel monastero egli tiene le veci del Cristo; poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo la parola dell’Apostolo: Voi avete ricevuto uno spirito da figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo : “Abbà, Padre”.
Nella Scrittura il nome ha un valore performativo, cioè segna e trasforma una persona. Ponendosi in questo solco, il fatto di chiamare una persona Abate, cioè Padre, significa chiedergli di assumersene tutte le caratteristiche. La persona posta a capo della comunità è chiamata ad essere un padre per i monaci e non un comandante o un direttore. Certamente avrà anche la responsabilità dell’organizzazione del monastero, ecc., ma prima di tutto deve essere un padre che si prende a cuore il cammino umano e spirituale dei suoi uomini.
Emerge così chiaramente l’immagine di famiglia. Lo stile delle relazioni deve essere questo, e non quello di una caserma, come poteva essere ad esempio nei monasteri pacomiani dove i monaci erano suddivisi in base alle loro occupazioni e contavano centinaia o migliaia di membri. Benedetto vuole comunità a misura d’uomo.
Ma troviamo un’altra indicazione sullo stile di questa figura. L’abate fa le veci di Cristo, che è il vero padre e il vero superiore della comunità. Questo significa che lui stesso è figlio, e che ha un modello di riferimento da incarnare e rendere presente. Dall’altra dice che la comunità non gli appartiene, ma gli è affidata. Più volte nella Regola ritorna questo aspetto, che i fratelli gli sono affidati e ne dovrà rendere conto a Dio. L’abate non è un padre-padrone, ma è chiamato a prendersi cura in toto dei suoi monaci. Cura che va dal vestire e mangiare, alla loro formazione. Che investe il tempo della salute e quello della malattia, e della vecchiaia.
Con poche righe Benedetto presenta un modello di autorità che può essere di riferimento anche oggi e per molti ambiti. L’autorità è colui che si prende cura, che si carico delle persone prima di tutto, e per questo anche degli aspetti pratici e organizzativi, ma prima di tutto c’è la persona. Non è padrone, ma al servizio. Pur avendo teoricamente il potere di fare tutto ciò che vuole (lui è chiamato a interpretare e attuare la Regola), deve però rendere conto a un altro. Questo è il modo con cui Benedetto ha cercato di incarnare l’indicazione di Gesù a farsi servi.
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