RB 3,8-11 – Nessuno in monastero segua le inclinazioni del proprio cuore; nessuno, sfrontatamente oppure fuori del monastero abbia la presunzione di contestare con il suo abate. Chi avrà osato farlo, sia punito secondo le norme correttive della Regola. L’abate però, da parte sua, faccia tutto nel santo timore di Dio e nell’osservanza della Regola, conscio che di ogni sua decisione dovrà senza dubbio rendere conto a Dio, giustissimo giudice.

Sia che si tratti di un discernimento per il proprio cammino personale, sia che si tratti di un discernimento per il cammino della comunità, l’aspetto più impegnativo è riconoscere quali moti del cuore provengono da Dio. Non tutti i desideri che abitano i nostri cuori sono buoni, e questo occorre riconoscerlo. Il rischio di semplificazioni pericolose è sempre presente. “Va dove ti porta il cuore” è un motto molto romantico, ma che può essere pericoloso perché non siamo alla ricerca della nostra volontà, ma di quella di Dio, che certamente si manifesta “anche”, ma non solo, attraverso i desideri del nostro cuore.

Ci sono dei criteri che ci aiutano in questo senso a fare luce. Ciò che Dio mi chiede non danneggia mai gli altri, per cui l’effetto, la ricaduta sugli altri è una chiave con cui analizzare i desideri per non cadere nell’individualismo. Il progetto di Dio è per la gioia e il bene mio, ma in comunione e in armonia con quanti mi vivono accanto. Se c’è contrasto, se c’è opposizione, si deve subito accendere una spia.

Il confronto con una persona mi può aiutare a mettere in luce questi risvolti, che possono sfuggirmi, perché tutto preso e affascinato da ciò che si agita in me. Come anche il confronto con quanto gli altri vivono, o con la regola della comunità, intesa anche in senso ampio di consuetudine. Sono elementi che mi aiutano a collocare il mio desiderio in un contesto comunitario, ecclesiale.

In che modo cresce il mio bene e quello della comunità? In che modo questo desiderio mi aiuta a crescere a immagine di Dio, a incarnare il suo desiderio di bene e di vita? Se facilmente lo vediamo su di noi, dobbiamo riuscire a vederlo anche sugli altri. Un modo è quello di porci la domanda opposta: in che cosa danneggia o impoverisce la comunità o i fratelli? Perché questo può aiutarmi a purificare magari un’intuizione buona, ma che rischia di svilupparsi in modo non corretto.

La Scrittura ci mostra spesso come le inclinazioni del cuore vanno purificate, corrette, guidate, perché possano portare i frutti sperati da Dio. Il discernimento non è solo iniziale, ma lungo tutto il processo di sviluppo e attuazione.

Dio non mi chiede di rinnegare me stesso, ma un atteggiamento egoistico, che cerca il bene solo per sé. Dio si rivela a singoli, ma per il bene e avendo un progetto su un popolo. E’ solo in questa prospettiva che si comprende e ha senso l’abbracciare una rinuncia, un sacrificio, per il bene che può portare a chi mi vive accanto, e poi anche a me stesso. Il dono della vita altrimenti non avrebbe senso, neppure quello di Gesù, che ha sentito la ripulsa e la paura di morire, ma ha potuto trasformare la morte abbracciandola per amore.