RB 4,35-38 – Non darsi al vizio del vino. Non essere vorace. Non darsi al troppo dormire, non essere pigro.
I versetti dal 35 al 38 potrebbero essere letti con un comun-denominatore: un’attenzione su se stessi non sana. Il bere, il mangiare, il dormire sono bisogni primari, ma anche luoghi dove emerge la nostra personalità, l’attenzione che diamo a noi stessi, l’equilibrio che va sempre cercato tra le nostre esigenze e quelle degli altri. Un esempio banale ma chiarificatore: posso servirmi a tavola pensando a ciò che mi piace e alla mia “fame” senza guardarmi intorno e vedere se quello che c’è è sufficiente per tutti, se quello che vorrei è l’ultima porzione e so che piacerebbe anche a un altro fratello, ecc., oppure scegliere consapevolmente di prendere solo un po’ di quel piatto che mi piace tanto per lasciarne anche ad altri.
Gli estremi sono sempre problematici, da chi non è capace e non sa ascoltare se stesso, a chi amplifica tutto ciò che sente e vive facendone il centro della storia. Tra i due estremi vi sono infinità di sfumature che dicono comunque un modo di vivere la relazione con l’altro, il grado di attenzione che gli si presta, non a parole, ma con i fatti.
Alcolismo, voracità, spesso sono sintomi di una solitudine, di una incapacità a vivere in modo sano le relazioni con l’altro, con i conflitti inevitabili che ciò comporta. Possono essere delle forme di compensazione per la delusione o la sconfitta su questo fronte relazionale.
La disciplina, dal bere, al mangiare, alla parola, non è altro che un imparare a gestire i propri limiti perché non diventino un pericolo e un danno per noi stessi e per chi ci vive accanto. I primi infatti ad esserne danneggiati siamo noi stessi, sia dal punto di vista fisico, che psicologico e affettivo. La disciplina non ha per fine la sofferenza, questa è stata una sua distorsione, ma il mio ben-essere, il mio crescere in modo armonico imparando a gestire i miei punti deboli. E’ ciò che in realtà permette di vivere serenamente, perché liberi e in cammino verso la nostra piena maturità umana senza dimenticarci di tutte le nostre dimensioni.
Mi sembra che ci sono almeno due segni che ci permettono di capire se siamo riusciti ad accettare i nostri limiti: se siamo capaci di riderci sopra con sano umorismo, e se siamo capaci di mettere in atto azioni correttive per ridurne gli effetti negativi. Se manca uno di questi due aspetti non siamo ancora in pace con le nostre ferite.
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