RB 4,78 – L’officina in cui diligentemente compiremo tutto questo lavoro, è l’ambito del monastero, con la necessaria stabilità nella famiglia monastica.
Questa, che può sembrare semplicemente un’indicazione pratica dello spazio dove i monaci vivono, in realtà contiene un’importate indicazione spirituale. L’ambito del monastero non è solo uno spazio fisico delimitato, ma il contesto dove vive una comunità alla quale ci si lega con un vincolo forte, qui indicato dalla stabilità. Il voto di stabilità che si emette quando si fa la professione, è la scelta definitiva di una comunità come propria famiglia di appartenenza.
Questo significa che quel gruppo di persone e quegli spazi vitali (dove si vivono le relazioni, dove si prega, dove si lavora, ecc.) sono il luogo dove compiere il proprio cammino di fede e di conversione, dove vivere e incarnare la propria sequela a Cristo secondo la scuola di san Benedetto. E’ un lavoro sulla propria vita, sulla propria dimensione relazionale, sulla propria dimensione affettiva, sulla propria dimensione di preghiera, ecc. per plasmarci ed essere sempre più conformi al progetto di Dio. Significa riconoscere come Dio mi provocherà, mi solleciterà, proprio attraverso queste persone e tutto ciò che compone la mia vita, compreso il lavoro. Tutto ciò che mi accade dovrò imparare a leggerlo come portatore anche di una sollecitazione di conversione.
Le difficoltà relazionali, le incomprensioni, le responsabilità affidatemi, ecc. dovrò viverle mettendo in gioco questi strumenti perché siano realmente il luogo dove crescere in un cammino spirituale e umano. Non posso sognare altre persone, altri spazi, altri impegni, dove poter vivere il mio cammino spirituale. E’ qui e con queste persone che Dio mi chiama a seguirlo e a vivere il Vangelo. E’ in queste responsabilità lavorative, di comunità, che Dio mi chiede di essere presenza nuova. La stabilità è un richiamo alla perseveranza in questo cammino molto concreto, cioè incarnato, di sequela di Dio. Il continuo cambiare spazi vitali perché non ci si trova, non aiuta a maturare e a portare frutto. Non sono gli spazi vitali che devono cambiare, ma siamo noi che dobbiamo imparare a viverli portandone anche le dimensioni di fatica, scoprendone quell’aspetto di sollecitudine alla nostra trasformazione che contengono.
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