RB 5,15-16 – Infatti, l’obbedienza che si presta ai superiori è offerta a Dio stesso, poiché egli dice: Chi ascolta voi, ascolta me. I discepoli devono dunque obbedire di buon animo poiché Dio ama chi dona con gioia.
La citazione di 2Cor 9,7: Dio ama chi dona con gioia, si vuole mostrare come l’obbedienza è qualcosa che si dona con gioia, e non un dovere o un peso. Ed è un dono fatto a Dio attraverso una persona precisa. E’ cioè uno strumento per rendere concreto e puntuale il nostro amore per lui. Non è e non deve restare un vago sentimento di benevolenza, di sottomissione. E’ invece una relazione che si traduce in scelte e gesti puntuali e concreti.
Questo riferimento a Dio è essenziale perché diventa anche il criterio di discernimento per valutare quando ciò che mi viene chiesto devo accoglierlo come un appello di Dio. Se ciò che mi viene chiesto va contro la mia comprensione della volontà di Dio devo fermarmi e cercare di capire perché c’è questo cortocircuito. E’ la mia comprensione di Dio che deve evolvere o è ciò che mi viene chiesto che è sbagliato?
Noi dobbiamo infatti obbedire a Dio e non agli uomini, come ci ricorda in At 4,19 Simon Pietro. Ma questo ci richiede la capacità di capire quando una richiesta è contro la volontà di Dio.
La gioia di cui si parla non significa che a volte non sia faticoso. E’ come quando si sale in montagna, si fa fatica, ma la bellezza ti dilata il cuore. Deve esserci e deve trasparire questa dilatazione del cuore. L’obbedienza è una forma concreta del nostro fidarci e affidarci a Dio, che passa anche attraverso persone concrete che non abbiamo scelto noi. Per questo occorre mantenere sempre vivo l’atteggiamento di ascolto, cioè la capacità di riconoscere i segni e le parole di Dio che si incarnano nella nostra storia e nelle relazioni che viviamo.
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