RB 5,19 – Inoltre per un’obbedienza fatta in tal modo il discepolo non ottiene alcun frutto spirituale, anzi, se non si corregge e non ne fa la dovuta penitenza, incorre nella pena dei mormoratori.
L’obbedienza ha come scopo portare “frutti spirituali” cioè il progredire nella vita spirituale. Essa ci permette di progredire, cioè di avanzare là dove da soli non potremmo arrivare. Quando camminiamo portiamo un piede alla volta da una posizione di stabilità e sicurezza a una di avanzamento che però è all’inizio incerto, per poi arrivare a toccare terra e ritrovare certezza. Analogamente l’obbedienza a volte ci spinge a compiere passi che noi non avremmo intrapreso e per questo ci possono apparire insicuri o al di là delle nostre forze. Ma se ci fidiamo e rischiamo di intraprendere questo percorso, scopriamo una nuova meta.
Il muoverci sulla fiducia è già un primo frutto spirituale, perché la tentazione che abita sempre i nostri cuori è la paura e la diffidenza. Quante volte Gesù rivolge ai sui l’invito a “non temere”, “non abbiate paura”. E il saluto del Risorto è “Pace a voi”. Il far finta di obbedire, il fare con risentimento, impedisce alla fiducia di sbocciare e di crescere. Ci impedisce di consolidarci nella fiducia, nella fede. Ma logora anche la relazione con la persona che ci ha chiesto quel passo, a cominciare da Dio stesso.
Quando non mi fido del superiore, non mi fido di Dio, pongo la mia fiducia solo in me stesso. Poggio la mia vita su me stesso illudendomi di trovare in me sicurezza e verità. Ma la vita ci fa e ci farà sperimentare quanto noi siamo fragili e incapaci di sostenere noi stessi. Senza la fiducia impediamo a Dio di poter operare in noi. Anche le relazioni con le persone, senza fiducia, si rattrappiscono e diventano formali, se non abitate dal sospetto. E questo sentimento svilisce ogni rapporto umano uccidendolo dall’interno, anche un rapporto nato nell’amore.
In una comunità, come in una coppia, il circolare (lo scambio vicendevole) dell’obbedienza come forma concreta di fiducia, consolida e fa crescere l’unità e l’affetto. Il suo venir meno al contrario porta all’allontanarsi reciproco, al sospetto, alla divisione inizialmente pacifica, ma che poi può degenerare in scontro e odio. L’obbedienza è un esercizio pratico di apertura benevola all’altro che ci mette al riparo dall’isolamento.
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